Capita spesso che soprattutto nelle città le cui strade sono ancora rivestite da pavè, diversi passanti inciampino in un sampietrino o in un tombino dissestato.
È necessario chiedersi se, a fronte di tali cadute, che spesso dipendono non solo dallo stato della pavimentazione, ma anche dalla fretta, dalla distrazione o comunque dalla mancanza di diligenza da parte del passante, sia possibile chiedere il risarcimento al Comune per i danni subiti.
I Giudici del Tribunale di Taranto prima e la Corte d’Appello tarantina poi hanno rigettato il ricorso presentato da una signora caduta nei pressi di un tombino dissestato nei confronti della Pubblica Amministrazione, in particolare il Comune di Taranto, responsabile in qualità di custode della strada – a detta della signora – dei danni subiti per la caduta.
I Giudici di primo e secondo grado hanno escluso la responsabilità dell’Ente sostenendo che la condotta della ricorrente – caratterizzata da distrazione e mancanza di opportuna diligenza – ha certamente inciso nella determinazione dell’evento – caduta.
Avverso tale sentenza l‘istante presentava ricorso in Cassazione ritenendo che fosse ravvisabile una condotta colposa in capo al Comune il quale non ha provveduto alla regolare e doverosa manutenzione del tombino, oltre al fatto che non era né possibile né ragionevole che il pedone in modo continuo e scrupoloso potesse continuamente controllare lo stato dei marciapiedi da lui percorsi, serbando anzi un’aspettativa circa la sicurezza del manto stradale e, infine, la Ricorrente riteneva violato il principio della ripartizione dell’onere della prova che incombeva sul Comune, non sul danneggiato.
Gli Ermellini, con discutibile ordinanza n. 22684 del 04.10.2013, rigettavano il ricorso fondando la propria decisione sull’analisi del profilo causale dell’evento.
La Corte affermava che “l’onere spettante al Custode di dimostrare il caso fortuito per sottrarsi alle conseguenze del danno cagionato dalle cose custodite, non esonera, di fatto, il danneggiato dalla prova del nesso causale tra la cosa custodita ed il danno”.
Nella fattispecie, la Suprema Corte riteneva sussistere un provato comportamento colposo in capo alla danneggiata, connotato da distrazione e mancanza di diligenza, idoneo ad interrompere il nesso causale tra la causa del danno e l’evento, circoscrivendo così la responsabilità per i danni cagionati da cose in custodia ed attribuendo un rilievo determinante alla condotta del danneggiato.
Ai fini di configurare una responsabilità in capo all’Ente è necessaria, a detta della Suprema Corte, la presenza di una situazione di pericolo cagionata dalla cosa custodita che l’utente medio non sia stato in grado di prevedere o evitare facendo uso della normale diligenza.