L’installazione dell’ascensore viene annoverata tra le opere dirette ad eliminare le barriere architettoniche, di cui all’art. 27, comma 1, della legge 3 marzo 1971, n. 118, e all’art. 1, comma 1, del d.P.R. 27 aprile 1978, n. 384, costituendo pertanto un’innovazione che, ai sensi dell’art. 2, legge 2 gennaio 1989, n. 13, è approvata dall’assemblea con la maggioranza prescritta dall’art. 1136, comma 2, c.c. (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 28920 del 27/12/2011; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 8286 del 20/04/2005; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 14384 del 29/07/2004). Lo stesso art. 2, legge n. 13/1989, stabilisce che, nel caso in cui il condominio rifiuti di assumere, o non assuma entro tre mesi dalla richiesta fatta per iscritto, le deliberazioni aventi per oggetto le innovazioni volte all’eliminazione delle barriere architettoniche, i portatori di handicap possono installare, a proprie spese, le strutture occorrenti al fine di rendere più agevole l’accesso agli edifici, agli ascensori e alle rampe dei garages, fermo quanto disposto dagli articoli 1120, comma 4, e 1121, comma 3, c.c. (all’esito delle modifiche introdotte dalla legge 11 dicembre 2012, n. 220). Infatti, l’installazione di un ascensore, allo scopo dell’eliminazione delle barriere architettoniche, realizzata su parte di aree comuni si considera palesemente indispensabile ai fini appunto, dell’accessibilità stessa dell’edificio e della reale abitabilità dell’appartamento, e rientra, pertanto, nei poteri spettanti ai singoli condomini ai sensi dell’art. 1102 c.c. (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 14096 del 03/08/2012). Nel valutare, altresì, il contrasto delle opere, cui fa riferimento l’art. 2 della legge n. 13/1989, con la specifica destinazione delle parti comuni, sulle quali esse vanno ad incidere, occorre tenere conto “del così detto principio di solidarietà condominiale, secondo il quale la coesistenza di più unità immobiliari in un unico fabbricato implica di per sé il contemperamento, al fine dell’ordinato svolgersi di quella convivenza che è propria dei rapporti condominiali, di vari interessi, tra i quali deve includersi anche quello delle persone disabili all’eliminazione delle barriere architettoniche, oggetto di un diritto fondamentale che prescinde dall’effettiva utilizzazione, da parte di costoro, degli edifici interessati” (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 18334 del 25/10/2012). Ai fini della legittimità dell’intervento innovativo approvato ai sensi dell’art. 2 della legge n. 13 del 1989, è sufficiente, peraltro, che lo stesso produca, comunque, un risultato conforme alle finalità della legge, attenuando sensibilmente le condizioni di disagio nella fruizione del bene primario dell’abitazione (Cass. Sez. 6 – 2, Ordinanza n. 18147 del 26/07/2013).
Nel tema del diritto condominiale, nel caso di specie, concernente per l’appunto, l’installazione dell’ascensore da parte di un condomino portatore di handicap, esaminato infatti dalla Corte di Cassazione, il Tribunale di Trieste, in accoglimento della domanda proposta da alcuni condomini, “aveva accertato il diritto degli stessi, ai sensi della L. 9 gennaio 1989, n. 13, art. 2, ad installare un ascensore occupando una parte del sedime del giardino comune, a ridosso della facciata, ove è ubicato il portone d’ingresso del Condominio”, domanda proposta dagli stessi condomini a seguito del “rigetto espresso due volte dall’assemblea condominiale alla proposta di installazione dell’ascensore e deduceva la difficoltà di deambulazione di due condomine”. La Corte d’Appello, in riforma della sentenza di primo grado, aveva rigettato le domande dei condomini, osservando che l’ascensore era un manufatto diverso dal servoscala o da altre “strutture mobili e facilmente amovibili”, di cui alla legge b, 13/1989 e che l’ascensore stesso non avrebbe comunque consentito alle condomine di “raggiungere senza problemi i rispettivi appartamenti, dovendo fermarsi sul pianerottolo dell’interpiano con dieci gradini da percorrere a piedi”.
La Corte d’appello, pertanto, riteneva che l’installazione dell’ascensore violasse l’art. 1102cod. civ. ed, in particolare, la “destinazione a giardino dell’area comune”, evidenziando che l’installazione stessa richiedeva il consenso dell’assemblea condominiale, espresso con il quorum di cui all’art. 1136 cod. civ. (numero di voti corrispondente alla maggioranza degli intervenuti e ad almeno la metà del valore dell’edificio). I condomini in questione, ritenendo, appunto, la decisione ingiusta, proponevano ricorso per Cassazione, al fine di ottenere l’annullamento della sentenza di secondo grado. La Corte di Cassazione, pertanto, accoglieva il ricorso proposto dai condomini ricorrenti, annullando la sentenza di secondo grado e rimettendo la causa nuovamente alla stesa Corte d’appello, affinchè la stessa decidesse di nuovo sulla questione, la decisione della Corte d’appello , infatti, si poneva in contrasto con il consolidato orientamento della stessa Corte di Cassazione, “secondo cui l’installazione dell’ascensore rientra fra le opere dirette ad eliminare le barriere architettoniche, (di cui alla L. 3 marzo 1971, n. 118, art. 27, comma 1, e al D.P.R. 27 aprile 1978, n. 384, art. 1, comma 1), e perciò costituisce innovazione che, (ai sensi della L. 2 gennaio 1989, n. 13, art. 2), è approvata dall’assemblea con la maggioranza prescritta dall’art. 1136 c.c., comma 2”. Evidenziava altresì’, che la stessa Corte di Cassazione, in particolare, infatti, che la stessa L. n. 13 del 1989 “stabilisce che, nel caso in cui il condominio rifiuti di assumere, o non assuma entro tre mesi dalla richiesta fatta per iscritto, le deliberazioni aventi per oggetto le innovazioni volte all’eliminazione delle barriere architettoniche, i portatori di handicap possono installare, a proprie spese, le strutture occorrenti al fine di rendere più agevole l’accesso agli edifici, agli ascensori e alle rampe dei garages”. Osservava la Corte, infatti, che “l’installazione di un ascensore, allo scopo dell’eliminazione delle barriere architettoniche, realizzata su parte di aree comuni (nella specie, un’area destinata a giardino), deve considerarsi indispensabile ai fini dell’accessibilità dell’edificio e della reale abitabilità dell’appartamento, e rientra, pertanto, nei poteri spettanti ai singoli condomini ai sensi dell’art. 1102 c.c. (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 14096 del 03/08/2012)”.