In questa epoca di social network, dove tutti sono a conoscenza di tutto e dove le notizie, belle e brutte, riguardo terzi, sono sulla bocca di tutti alla velocità della luce, non è sempre facile distinguere il reato di diffamazione da quello di ingiuria.
E quindi è lecito domandarsi se possa considerarsi diffamazione o ingiuria, l’sms inviato dal proprio telefonino contenente offese riguardanti un terzo soggetto.
La Suprema Corte, con sentenza n. 22853 del 31.05.2014, ha annullato la decisione del Tribunale di Catania che aveva condannato per diffamazione una madre che aveva inviato dal proprio cellulare a quello della figlia un sms contenente offese riguardanti una terza persona, dichiarando che non sussisteva il reato di diffamazione.
Secondo gli Ermellini, infatti, c’è diffamazione quando un soggetto, consapevolmente, pronuncia o scrive frasi che ledono l’onore, la reputazione altrui, con la precisa e chiara volontà che le offese vengano conosciute inevitabilmente da più persone.
L’offesa dunque deve “circolare”, deve passare di bocca in bocca e, per questo, è inevitabile che l’autore comunichi ad una o più persone il contenuto lesivo della reputazione altrui.
La notizia sarebbe stata sicuramente portata alla conoscenza di molti soggetti laddove, per esempio, l’sms, anziché privato, fosse stato inviato da una chat di gruppo, oppure pubblicato sui social network di turno come facebook o twitter.
Nel caso di specie, la donna si è limitata ad inviare dal proprio cellulare un messaggio privato alla figlia senza la precisa volontà della donna di far conoscere le offese ad altre persone,; diversamente, l’sms avente carattere denigratorio farebbe scattare il reato di ingiuria se inviato direttamente al destinatario dell’offesa.