La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 6093 depositata il 19 febbraio 2013, ha affermato che al paziente spetta il risarcimento dei danni conseguenti ad un intervento chirurgico effettuato a seguito di una errata diagnosi di cancro.
Il professionista, infatti, aveva programmato l’intervento di rimozione del tumore; ma, una volta in sala operatoria, aveva riscontrato come in realtà il paziente non fosse affetto da alcuna patologia oncologica.
A parere degli Ermellini, il caso di specie “si caratterizzava da un contestuale errore di informazione e di assenso all’atto chirurgico, ma l’errore diagnostico non derivava da colpa lieve, ma da una gravissima negligenza: l’avere operato prima di avere la certezza di un tumore conclamato e diffuso tale da rendere improrogabile l’intervento, mentre, si trattava di intervento routinario. Non è dunque avvenuto un incontro di volontà efficace in relazione a un contenuto di informazione medica assolutamente carente e forviante”.
In una simile ipotesi, chiarisce ancora la Corte, “la specificazione dello error in iudicando riferito alla sequela dell’errore diagnostico e intervento chirurgico assentito sulla base di errata informazione delle condizioni di salute, non costituisce domanda nuova, ma è atto intrinseco alla deduzione di una domanda diretta ad accertare la responsabilità civile secondo le circostante note e allegate”.
Infatti, anche se la legge Balduzzi ha depenalizzato la responsabilità penale del medico per colpa, la Suprema Corte, applicando l’art. 2043 del codice civile, ha ritenuto che sussistesse la responsabilità civile in capo al sanitario il quale è stato condannato all’integrale risarcimento dei danni, morali e biologici, ingiustamente patiti dal suo paziente.