L’istituto del divorzio è disciplinato dalla Legge n. 898/1970 il cui art. 6 stabilisce che il Tribunale tenuto conto delle “condizioni dei coniugi, delle ragioni della decisione, del contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare e alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune, dispone per un coniuge l’obbligo di somministrare periodicamente a favore dell’altro un assegno quando quest’ultimo non ha mezzi adeguati o comunque non può procurarseli per ragioni oggettive.”.
In linea di principio, il Giudice terrà pertanto in debita considerazione da parte del coniuge richiedente l’assegno divorzile l’impossibilità di mantenere, esclusivamente con le proprie risorse, un tenore di vita analogo a quello goduto – o potenzialmente godibile – in costanza di matrimonio (senza che la mancanza di procurarsi tale risorse sia dipeso dalla inerzia o mancata intenzione di lavorare).
Le diverse sentenze della Corte di Cassazione, nel corso del tempo, hanno ampliato tale norma, introducendo concetti nuovi e necessari a determinare in termini sempre più chiari ed equi il quantum dell’assegno divorzile.
Uno dei presupposti per riconoscere e determinare l’assegno di mantenimento è certamente l’inadeguatezza dei mezzi economici del coniuge considerato, caso per caso, più debole o più vulnerabile, laddove il concetto di adeguatezza fa riferimento all’idoneità o meno di conservare un tenore di vita analogo a quello goduto in costanza di matrimonio, senza riferimento alcuno allo stato di bisogno del coniuge beneficiario il quale può essere economicamente autosufficiente.
E si sa, all’interno di ogni coppia, anche la più benestante, vi è sempre un soggetto economicamente più “debole”.
Il caso sottoposto all’attenzione della Corte di Cassazione riguarda proprio una coppia toscana benestante, lei medico primario e proprietaria dell’immobile di 200 mq adibita a casa coniugale, lui proprietario di svariati immobili di prestigio, tra cui un casale di 500 mq nella campagna senese con annesso parco e piscina, un attico a Parigi, diversi immobili a Chianciano Terme e due immobili di lusso a Roma.
Il Giudice di prime cure disponeva a carico del marito la corresponsione della somma di € 1.200,00 a titolo di mantenimento della moglie, nonostante questa conservasse una posizione economica di tutto rispetto.
Tale cifra – ritenuta esorbitante dal “povero” marito – veniva tuttavia confermata dai Giudici della Corte d’Appello fiorentina i quali, dopo aver confrontato la situazione economica patrimoniale dei due coniugi e tenuto in debita considerazione il patrimonio immobiliare dello stesso, definivano equo l’importo statuito dal Tribunale di Montepulciano.
Il marito, allora, presentava ricorso in Cassazione lamentando che entrambe le sentenze non avevano tenuto conto della brevità del matrimonio – ritenuto quasi “una meteora” – e della brevissima convivenza coniugale che non aveva condotto ad un consolidamento del regime di vita comune, avendo i coniugi abitato in residenze diverse e proseguito ognuno lo stile di vita precedente.
Il ricorrente riteneva poi che i Giudici avrebbero determinato il quantum dell’assegno valutando – erroneamente – solo il dislivello economico tra i coniugi fondando così l’importo dell’assegno sul tenore di vita goduto in costanza di matrimonio, sensibilmente più elevato di quello di cui avrebbe goduto la moglie dopo la fine della relazione coniugale, nonostante questa conservasse una posizione di prestigio.
Gli Ermellini, con sentenza n. 23442 del 16.10.2013, distinguendo lo stile dal tenore di vita, confermavano entrambe le sentenze emesse proprio tenendo conto della brevità del matrimonio e della ridotta convivenza, poiché altrimenti l’importo sarebbe stato notevolmente maggiore.
La scelta di uno stile dimesso, “understatement” – precisa la Corte – non elimina le potenzialità di una condizione economica molto agiata come era quella della coppia dei coniugi.
Inoltre, devono essere considerate tutte le aspettative della donna, derivanti dalla convivenza con un uomo possessore di un patrimonio immobiliare così rilevante e significativo, che si concretizzano in una legittima aspirazione ad un rilevante cambiamento di stile di vita.
Pertanto, in sede di divorzio, il tenore di vita da valutare non è tanto quello di fatto goduto dalla coppia durante il matrimonio, ma quello che le potenzialità economiche dei coniugi avrebbero consentito loro.