Attività extralavorativa malattia Attraverso il commento alla sentenza in esame, verrà analizzato un aspetto centrale che interessa la vita di quasi tutti i lavoratori, o perlomeno di chi svolge attività parallele a quella principale.
Lo svolgimento di attività extralavorative in corso di malattia, che possono integrare ipotesi di licenziamento.
Nella sua recente pronuncia la n. 21667/2017 del 19 settembre, la Corte di Cassazione ha preso posizione circa l’illegittimità del licenziamento qualora un lavoratore dipendente svolga attività extralavorative durante il periodo di assenza per malattia.
Per comprendere appieno le ragioni che possano indurre un datore di lavoro a muovere un azione di licenziamento, è utile illustrare anche se pur sinteticamente l’istituto della malattia nel rapporto di lavoro subordinato.
Viene definita malattia, un alterazione dello stato di salute del dipendente, temporaneo o definitivo, che impedisce a quest’ultimo di poter fornire la prestazione al datore di lavoro.
Si tratta, dunque, di una condizione che costringe il datore di lavoro a sopportare l’assenza del dipendente, sospendendo di fatto il rapporto tra le parti.
Il lavoratore, secondo quanto previsto dall’art. 2110 c.c. è garantito in questo caso, da un indennità erogata dagli enti competenti (INPS INAL a seconda che si tratti di malattia o infortunio sul lavoro), mentre al datore sono riconosciuti una serie di poteri (come il sollecito alla visita fiscale dei medici degli enti stessi, o anche l’utilizzo di investigatori privati).
Mezzi atti ad accertare che davvero sussista e persista lo stato di malattia del lavoratore.
In linea puramente teorica, in corso di malattia non si può svolgere attività lavorativa o extralavorativa e si rimane reperibili nelle relative fasce orarie previste per legge 10-12 e 17-19.
In caso di assenza alla visita fiscale nelle fasce di cd. reperibilità, il lavoratore potrebbe andare incontro ad un procedimento disciplinare che potrebbe portarlo addirittura al licenziamento.
La Cassazione in commento, esamina il caso di un lavoratore in malattia, poi licenziato, in quanto lo stesso, in corso di malattia, si era recato presso l’esercizio commerciale del figlio con la propria autovettura e lì aveva svolto alcune attività (spostare delle piccole piante, chiudere la saracinesca del negozio con un dispositivo elettronico).
La Cassazione prendendo le mosse dal caso di specie, ha precisato quali sono le ipotesi che possono legittimare il licenziamento, è cioè quando si violino i doveri generali di correttezza e buona fede degli obblighi contrattuali, di diligenza e di fedeltà.
Nei casi in cui tali violazioni siano una circostanza sufficiente a far presumere l’inesistenza della malattia o quando si pregiudichi o ritardi la guarigione e il rientro in servizio, si configura dunque la legittimità del licenziameto.
Gli Ermellini, hanno infine evidenziato che anche le attività extralavorative svolte dal lavoratore durante il periodo di malattia sono tali da rappresentare un illecito disciplinare esclusivamente laddove cagionino un effettiva impossibilità temporanea di ripresa del lavoro o mettono in pericolo quest’ultima.
Il Supremo Organo, pronunciandosi sul punto, ha osservato che il comportamento tenuto nella vicenda di licenziamento narrata non rappresenta una violazione dei doveri di correttezza e buona fede ne degli obblighi di diligenza e fedeltà.