Condominio rimozione barriere architettoniche, cosa dice la legge? Il legislatore si è occupato della eliminazione delle cosiddette barriere architettoniche ed al conseguente diritto alla mobilità dei disabili in condominio con due importanti interventi legislativi: la L. n. 13 del 9.01.1989, e la legge di riforma del condominio L. n.220 del 2012 che è andata a modificare parzialmente il testo di legge dell’89 precedentemente citato.
Condominio rimozione barriere architettoniche, cosa dice la legge? L’ art. 2 co. 1 della L. n 13/1989, nel suo testo da ultimo vigente, disponeva che:” Le deliberazioni che hanno per oggetto le innovazioni da attuare negli edifici privati dirette ad eliminare le barriere architettoniche sono approvate dall’assemblea del condominio, in prima o in seconda convocazione, con le maggioranze previste dal secondo comma dell’articolo 1120 del codice civile.” L’art 1120 2° co. c.c. prevede, a sua volta, che le innovazioni volte alla eliminazione delle barriere architettoniche devono approvarsi dalla assemblea con la maggioranza indicata da 2° co. dell’art. 1136 del c.c., ovvero maggioranza degli intervenuti che rappresentano la metà del valore dell’edificio (500 millesimi). Il 3° co. dell’art. 1120 c.c. obbliga l’amministratore a convocare l’assemblea condominiale entro 30 giorni dalla ricezione della richiesta avanzata anche da un solo condomino interessato a installare innovazioni volte alla eliminazione delle barriere architettoniche.
Condominio rimozione barriere architettoniche, cosa dice la legge? Se l’assemblea non raggiunge le maggioranze di cui all’art. 1136 2°co.c.c., oppure la stessa non si pronunci sulla richiesta entro 3 mesi dalla sua ricezione, il comma 2° dell’art. 2 della L.n.13/1989, riconosce il diritto al condomino portatore di handicap o ai suoi eventuali rappresentanti legali di installare l’ascensore a loro spese. Quindi al condomino disabile viene riconosciuta dal legislatore una duplice strada per ottenere l’installazione di un impianto ascensore o montascale: la prima è quella di far pronunciare in merito l’assemblea, ripartendo il costo della innovazione fra tutti i condomini; la seconda, a fronte del rifiuto o dell’inerzia del consesso condominiale, è quella di installarlo a sue spese. Alcune recenti sentenze ribadiscono però, che tutte le innovazioni, seppur supportate dalla maggioranza dei condomini come richiesto dall’art. 1136 del c.c. non possono comunque trovare applicazione qualora alterino il decoro architettonico del palazzo, rechino pregiudizio alla sicurezza ed alla stabilità del fabbricato, oppure rendano alcune parti dell’edificio inservibili al godimento o all’uso anche di un solo condomino.
È, pertanto, emerso dalle varie sentenze che si sono susseguite negli ultimi anni, che i lavori per l’abbattimento delle barriere architettoniche in un condominio, possono essere richiesti e deliberati solo ed esclusivamente se tali opere non danneggino neppure in piccola parte i diritti anche di un solo individuo.
La maggioranza che occorre per le delibere assembleari pertanto è quella prevista dall’articolo 1136, secondo e terzo comma del Codice Civile, ovvero almeno i 2/3 del valore millesimale dell’intero edificio in prima convocazione oppure almeno il 50% in seconda convocazione. Nel caso in cui l’assemblea deliberi l’esecuzione dei lavori le spese verranno suddivise tra i vari condomini in base ai millesimi di proprietà. Mentre, in caso di rifiuto all’esecuzione dei lavori necessari il soggetto con handicap potrà comunque eseguire i lavori a proprie spese, purchè tali interventi non rechino danno al decoro architettonico dell’edificio, non ne alterino la stabilità o la sicurezza e non rendano alcune parti comuni dell’edificio inservibili al godimento e all’utilizzo anche di un solo condomino. Infatti, in caso di innovazione gravosa suscettibile di utilizzo separato, da un lato la legge fa salva la possibilità ai condomini dissenzienti, di sottrarsi al pagamento dell’opera, riconoscendo però poi agli stessi, il diritto potestativo di partecipare successivamente ai suoi vantaggi, se lo desiderano. Altresì, l’art. 1102 del c.c. dispone che ciascun partecipante può fare uso della cosa comune purché: non ne alteri la destinazione e permetta agli altri partecipanti di farne parimenti uso.