In sede di divorzio, il Giudice può disporre in favore del coniuge ritenuto economicamente “più debole” (in linea di principio, la donna) la corresponsione di un assegno vitalizio la cui finalità è prettamente quella di assistenza e solidarietà.
L’art. 5 della Legge 898/1970 statuisce che con la sentenza di divorzio il Giudice dispone l’obbligo per il coniuge “più forte” di somministrare periodicamente un assegno a favore del coniuge che non ha i mezzi adeguati o non può procurarseli per ragioni ed impossibilità oggettive, non riuscendo così a mantenere una condizione economica quantomeno analoga a quella di cui godeva in costanza di matrimonio. Resterà naturalmente onere dell’ex coniuge richiedente dimostrare la propria impossibilità nel procurarsi i mezzi necessari per ragioni oggettive.
Scelta difficile, ma non impossibile, per il Giudice è quella di determinare il quantum dell’assegno vitalizio.
Per facilitare l’ardua mission del Giudice, il Legislatore, ma soprattutto la stessa giurisprudenza, hanno elaborato dei criteri che devono essere presi in debita considerazione come, per esempio, le condizioni economiche, il reddito di entrambi i coniugi, il contributo personale ed economico dato da ciascuna parte alla conduzione famigliare ed alla formazione del patrimonio di entrambi, la durata del matrimonio e le ragioni che hanno condotto i coniugi a sciogliere il vincolo matrimoniale.
L’assegno può anche essere corrisposto in un’unica soluzione, pratica diffusa quando il matrimonio è di breve durata e non ci sono figli minorenni oppure mensilmente.
L’importo, tuttavia, non è fiscalmente detraibile.
Nell’ordinaria soluzione di assegno periodico mensile, con il tempo, è chiaro che si possono verificare situazioni, circostanze tali da estinguere la corresponsione dell’assegno (esempio il passaggio a nuova nozze del coniuge beneficiario, il coniuge beneficiario ha ripreso autonomamente la capacità di mantenere un tenore di vita analogo a quello avuto in costanza di matrimonio, le condizioni economiche del coniuge obbligato sono seriamente e sensibilmente peggiorate, la morte del coniuge beneficiario, essendo un diritto personalissimo e non trasmissibile) o da revisionare l’entità dell’assegno, aumentandolo o diminuendolo.
Un caso in cui recentemente si è pronunciato il Tribunale capitolino con sentenza n. 581/2015 riguarda proprio la modifica dell’assegno divorzile nel caso in cui il coniuge obbligato riceva una eredità, anche cospicua.
Il Giudice della Prima Sezione del Tribunale di Roma – rigettando l’istanza di incremento dell’assegno divorzile formulata dall’ex moglie – ha evidenziato che le successioni ereditarie in capo al coniuge onerato, verificatesi dopo la cessazione della convivenza, sono “eventi imprevedibili” e, in ogni caso, non idonei ad essere valutati come base per un incremento dell’assegno perché privi di collegamento a pregresse situazioni, prevedibili e preesistenti.
Nessun aumento dell’assegno divorzile può dunque derivare dalle fortune – anche rilevanti e considerevoli – ereditate, post separazione, dall’altro coniuge.
Viceversa, se l’aumento patrimoniale ereditario dovesse intervenire in capo all’ex coniuge beneficiario dell’assegno – nella fattispecie la moglie – questa novità non potrebbe non essere considerata come base per una riduzione o per un venire meno dell’obbligo di contribuzione divorzile: in questo caso, infatti, viene meno, o comunque, si attenua l’inadeguatezza delle risorse economiche del beneficiario, fondamento per la corresponsione dell’assegno divorzile.
Diverso il ragionamento, per quanto riguarda l’assegno di mantenimento in favore dei figli che deve essere “proporzionato al reddito percepito da ciascun genitore”.
Di conseguenza, “gli incrementi patrimoniali acquisiti dal padre per effetto delle vicende successorie concorrono a tutti gli effetti alla quantificazione del reddito” paterno, cui commisurare il contributo dovuto ed il Tribunale, posta l’evidente disparità delle condizioni economiche dei due genitori, ha disposto in capo al padre il carico integrale delle spese straordinarie per i figli.
La sentenza del Tribunale di Roma – disponendo un trattamento diverso a seconda di chi sia il coniuge che riceve l’eredità (se il beneficiario o l’onerato), vi sembra ragionevole e giusta?