Nella fattispecie un dipendente che aveva rifiutato il trasferimento nella sede distaccata dell’azienda ha impugnato il licenziamento disciplinare comminatogli poiché tale rifiuto era motivato dal demansionamento.
Il giudice di primo grado ha accolto la domanda del lavoratore che è però stata parzialmente riformata in appello e confermata in Cassazione.
La Suprema Corte, nella sentenza n. 10468/2015, ha infatti ritenuto che il lavoratore non poteva “legittimamente rifiutarsi di adempiere l’obbligo di prendere servizio presso il luogo del distacco e rendere la prestazione lavorativa nei termini in cui questa gli era stata richiesta, stante il potere gerarchico del datore di lavoro, la sussistenza a suo carico dell’obbligazione principale di pagamento della retribuzione e, per contro, quella principale del lavoratore di rendere la prestazione lavorativa“.
La condotta del dipendente che ha rifiutato di rendere la prestazione lavorativa, in quanto riteneva che il trasferimento avesse comportato anche una dequalificazione delle sue mansioni é assimilabile a una forma di autotutela, è quindi inammissibile.
Infatti il lavoratore solo agendo in giudizio può far valere i propri diritti e non rifiutandosi di eseguire la prestazione che gli compete.