La separazione tra due persone non solo sconvolge la vita affettiva e personale dei coniugi e dei figli, specie se minori, portando con sé una buona dose di veleno e di dolori, ma influisce anche sulla condizione economica di entrambe le Parti.
Se è vero che i Tribunali italiani sono inclini, dopo la Riforma del 2006, a disporre l’affido condiviso dei minori (quello esclusivo resta applicabile nei casi di grave pregiudizio dei minori o di conflittualità insanabile tra i genitori) con collocamento presso un solo genitore (solitamente la madre), la casa coniugale, in presenza di figli minori o maggiorenni ma non indipendenti economicamente, viene assegnata al genitore collocatario.
E così la casa coniugale, secondo giurisprudenza costante, resta al genitore affidatario che esercita il diritto reale di abitazione, godendo del bene anche se l’immobile è dei genitori dell’ex coniuge ed era stata data al figlio/a in comodato.
Recentemente, la Corte di Cassazione con ordinanza n. 12945 del 23.06.2015 ha cambiato orientamento e ha confermato la sentenza della Corte d’Appello di Roma che condannava una donna separata, madre di un figlio minorenne, alla restituzione della casa coniugale – assegnatale in fase di separazione – all’ex suocero, il quale aveva concesso – senza pattuire alcuna durata – l’immobile in comodato alla famiglia e che adesso, però, ne richiedeva la restituzione.
Contrariamente al Giudice di prime cure che aveva accolto le ragioni della donna sottolineando che l’appartamento era stato concesso in previsione delle esigenze abitative famigliari e che, dunque, il comodato d’uso non poteva essere revocato salvo il sopraggiungere di una necessità seria ed urgente, così come peraltro sosteneva la sentenza n. 20445/2014 della stessa Cassazione, la Corte d’Appello ha ribaltato tale provvedimento condannando la nuora alla restituzione dell’immobile al suocero entro 6 mesi dalla pubblicazione della sentenza.
Allora la donna aveva presentato ricorso in Cassazione denunciando la violazione degli artt. 1809 e 1810 c.c. poiché l’ immobile era stato considerato dinanzi al giudice territoriale “destinato ai bisogni della famiglia” (Cass. civ. S.U. n. 13603/2004).
Ma i Giudici del Palazzaccio hanno condiviso in toto la pronuncia dei Giudici di secondo grado.
Infatti, considerato che “dall’atto scritto risulta che il contratto è stato concluso a tempo indeterminato, senza alcuna menzione del vincolo di destinazione”, gli Ermellini hanno sostenuto che “il rapporto va assoggettato alla norma dell’art. 1810 c.c., secondo cui, nel caso non fosse stato convenuto un termine di durata, né questo risulti dall’ uso a cui la cosa doveva essere destinata, il comodatario è tenuto a restituire il bene non appena il comodante lo richieda”.
Non sembra, pertanto, essere prevista alcuna eccezione (neppure quella che incide negativamente sulle esigenze famigliari) alle norme che disciplinano il comodato e la restituzione del bene qualora il comodante ne richieda la restituzione (laddove non via sia stato apposto un termine).
Alla luce di tale ordinanza, pertanto, la donna, insieme al bambino, si vedrà costretta a rilasciare l’immobile e restituire le chiavi all’ex suocero, oltre che pagare le spese processuali.
Non vi pare, forse, alla luce degli interessi in gioco e della presenza di un minore il cui interesse superiore non sembra sia stato tutelato e salvaguardato, una sentenza criticabile e discutibile? O ritenete, invece, giusto il diritto dei nonni a riprendersi una casa, magari acquistata a fatica con i risparmi di una vita?