Nei procedimenti per il riconoscimento della paternità, l’uomo che si rifiuta, senza giustificazione alcuna, di sottoporsi al test del DNA, potrebbe essere considerato padre del bambino.
La Corte di Cassazione con sentenza n. 20235/2012 ha sostenuto che il comportamento processuale delle Parti, nella fattispecie il rifiuto di un uomo di sottoporsi ai test clinici per motivi di privacy, può essere assunto dal Giudice quale argomento di prova e tenuto in debita considerazione dal Giudice anche in assenza della prova relativa all’esistenza di rapporti sessuali intercorsi tra le Parti.
Nel caso sottoposto all’attenzione degli Ermellini, il presunto padre aveva rifiutato di effettuare i consueti esami e il test del DNA: detto rifiuto è stato interpretato quale elemento a sostegno della fondatezza delle ragioni della ex compagna che, a sua volta, aveva offerto ulteriori riscontri probatori – quali sms, tabulati telefonici – al fine di provare l’effettiva relazione intercorsa con il partner il quale aveva addirittura negato di conoscere e di avere intrattenuto una relazione con la donna.
La Corte ha concluso che il rifiuto di sottoporsi ai test medici, fondato esclusivamente sul proprio diritto a non essere costretto ad esami clinici, non può essere ritenuto un valido e giustificato motivo per non sottoporsi agli esami ematologici, anzi “il medesimo rifiuto costituisce un comportamento valutabile da parte del Giudice, anche in caso di mancanza di prove dei rapporti sessuali intercorsi tra le Parti, potendosi trarre la dimostrazione della fondatezza della domanda anche soltanto dal rifiuto ingiustificabile di sottoporsi agli esami ematologici, posto in opportuna e debita correlazione con le dichiarazione e le prove offerte dalla madre”.