Non è raro che, nonostante estenuanti e lunghe battaglie, i coniugi separati, a distanza di anni, decidano di ripristinare il vincolo coniugale precedentemente incrinatosi.
L’istituto della riconciliazione, prevista e disciplinata all’art. 157 del codice civile implica, di fatto, un ripristino del consorzio familiare attraverso la ricostituzione non solo della comunione materiale, ma anche di quell’unione spirituale che unisce i coniugi, entrambe poste a fondamento del matrimonio.
L’elemento essenziale per la riconciliazione è l’animus conciliandi, ovvero non solo la concreta ripresa della convivenza con carattere di continuità, ma anche la reciproca ed effettiva volontà di ricomporre il rapporto coniugale interrotto.
La giurisprudenza, in tale senso, non ha mancato di pronunciarsi con sentenze non sempre conformi su tale aspetto.
Per esempio, non è sufficiente ai fini della riconciliazione tornare a vivere sotto lo stesso tetto continuando, tuttavia, a dormire in camere separate o pranzando volutamente in altrettanti luoghi separati o, seppur coabitando, continuare ad intrattenere relazioni adulterine.
E ancora, “non basta il ripristino e il mantenimento di frequenti rapporti, anche sessuali, ma occorre la restaurazione di un nucleo familiare, prescindendo da irrilevanti riserve mentali” (Cass. Civ. 15481/2003).
Non è neppure sufficiente a far cessare gli effetti della separazione il cosiddetto periodo di prova limitato, ovvero quel periodo di tempo più o meno breve attraverso il quale i coniugi intendevano sperimentare una possibile ripresa della convivenza (Cfr. Cass. Civ. n. 12427 del 07.07.2004).
La comunione spirituale va intesa quale volontà di riservare nuovamente al coniuge riconciliato la posizione di esclusivo compagno di vita adempiendo ai doveri coniugali stabiliti all’art. 143 del codice civile.
Perché la riconciliazione abbia degli effetti giuridici è pertanto necessario che si ricostituiscano quelle circostanze da cui risulti l’effettiva intenzione dei coniugi di cancellare la separazione.
I coniugi possono, di comune accordo, far cessare gli effetti della sentenza di separazione giudiziale o dell’omologa della separazione consensuale, senza che sia necessario l’intervento del Giudice.
La riconciliazione, infatti, può derivare da una «espressa dichiarazione dei coniugi» tramite una scrittura privata, ovvero da un «comportamento non equivoco incompatibile con lo stato di separazione”, ovvero da fatti cherivelino un impegno di vita in comune nuovamente condiviso in maniera seria ed incondizionata.
Muniti della sentenza o dell’omologa (in caso di separazione consensuale) e dei propri documenti di identità, i coniugi possono anche recarsi presso l’Ufficio dello Stato Civile del Comune presso il quale è stato celebrato il matrimonio, affinché anche nei documenti ufficiali della separazione non rimanga traccia.
Dal punto di vista patrimoniale la riconciliazione travolge gli effetti della separazione: la pace tra i coniugi determina, infatti, la ricostituzione automatica della comunione legale, salvi gli atti posti in essere durante il periodo di separazione.
È ovvio che ove la riconciliazione non abbia esito positivo, i coniugi che intendono divorziare dovranno ricominciare da capo con una nuova separazione (consensuale o giudiziale) ed attendere altri tre anni.