La legge italiana non disciplina espressamente il “contratto di albergo”: non se ne trova menzione, infatti, né nel codice civile né nelle leggi speciali. Si tratta pertanto di un contratto formalmente atipico che tuttavia conosce ampia diffusione nella prassi sociale.
La Suprema Corte, nella sentenza n. 19769/2003, ha fatto chiarezza affermando che “il contratto di albergo è un contratto atipico o, al più, misto, con cui l’albergatore si obbliga a prestazioni molteplici ed eterogenee, che comprendono la locazione dell’alloggio, la fornitura di servizi, il deposito; senza che la preminenza riconoscibile alla locazione dell’alloggio possa valere, sotto il profilo causale, a far assumere alle altre prestazioni carattere meramente accessorio”.
Quindi l’albergatore è sempre tenuto a risarcire il cliente a cui vengono sottratte le cose che questi ha portato in albergo!
Se ciò che viene sottratto al cliente è un oggetto, a carico dell’albergatore sorge un’obbligazione di risarcimento del danno che è di valore, in quanto mira a rimettere il depositante nella stessa condizione economica in cui si sarebbe trovato se la restituzione in natura fosse stata subito eseguita, spettandogli anche la rivalutazione monetaria dell’equivalente pecuniario del bene sottratto fino alla data della decisione definitiva.
Qualora invece la cosa depositata in albergo costituisca una somma di danaro, l’inadempimento dell’obbligo contrattuale di custodire e restituire la stessa somma di denaro non trasforma una tipica obbligazione pecuniaria in un’obbligazione di valore, sicché il regime del risarcimento dei danni è regolato dall’art. 1224 cod. civ., a norma del quale sono dovuti i soli interessi legali, mentre il maggior danno rispetto a detti interessi (eventualmente da svalutazione) è dovuto solo se provato e nei limiti in cui ecceda quanto coperto dagli interessi legali.