Dal 1° Febbraio 2007, ogni volta che, purtroppo, si è vittima di un incidente stradale, ci si può rivolgere, laddove sussistono le condizioni (scontro tra due veicoli a motori, regolarmente immatricolati in Italia, identificati e regolarmente assicurati) alla propria assicurazione attraverso la cosiddetta procedura di risarcimento diretto.
Spesso, dopo una raccomandata del Legale, inizia la procedura mediante la nomina di un medico legale che prosegue con proposte di risarcimento, concludendosi con l’accettazione della proposta ritenuta più equa e giusta a seconda del caso.
Tuttavia, può succedere che, per svariati motivi non sempre giustificati, l’Assicurazione non voglia pagare e il danneggiato si debba rivolgere ad un Legale il quale, terminata senza successo l’attività stragiudiziale, provvede alla notifica di un atto di citazione chiedendo il risarcimento dei danni subiti dal proprio Assistito.
Talvolta, dopo la notifica dell’atto di citazione, può succedere che l’Assicurazione e il danneggiato giungano ad una transazione, con notevole risparmio di tempi e costi processuali. Altre volte, invece, la compagnia assicurativa prende (o perde) tempo scegliendo di resistere in giudizio pur non avendo elementi in mano e procrastinando le tempistiche procedurali a discapito dell’economia processuale e dei diritti della vittima.
Con la recente sentenza n. 2428/2015 – che potrebbe essere presto assunta quale precedente giurisprudenziale – il Tribunale di Tivoli ha condannato le due compagnie assicurative dei veicoli responsabili di un incidente subito da un giovane trentenne a corrispondere non solo la somma pari ad € 213 mila euro a titolo di risarcimento dei danni subiti, ma anche, ai sensi dell’art. 96, ultimo comma, c.p.c., un ulteriore importo pari al quadruplo delle spese di lite (che per definizione spettano alla parte soccombente) già liquidate (nelle mani dell’avvocato antistatario) nella misura massima di 25mila euro.
La giovane vittima, infatti, mentre percorreva una strada priva di strisce pedonali, era stata investita da una vettura proveniente ad alta velocità, a sua volta tamponata da una seconda vettura subendo un ingente trauma – debitamente documentato dalla Ctu.
Il Tribunale aveva ritenuto responsabile principale del sinistro nella misura del 95% la prima autovettura a causa della velocità “certamente non adeguata alla situazione di assenza di illuminazione” e solo in via marginale (il 5%) al veicolo sopraggiunto.
Vi è di più.
Il Giudice laziale ha condannato entrambe le compagnie assicurative al pagamento delle spese aggravate per lite temeraria, in quanto “è evidente che hanno resistito in giudizio senza aver liquidato il danno che – stanti le competenze delle assicurazioni – era certamente ben noto alle parti“, enfatizzando invece “elementi del tutto trascurabili o addirittura equivoci”, per di più nei confronti di uno straniero senza fissa dimora, il cui status ” è notoriamente elemento che gioca a sfavore della vittima, come certamente noto alle compagnie assicuratrici, che difficilmente ha normalmente accesso alla giustizia”.
Per questi motivi, il Tribunale ha ritenuto equo condannare “ogni compagnia assicuratrice a pagare una somma pari al quadruplo delle spese legali, in favore di parte attrice ex art. 96 u.c. c.p.c.”.
Del resto, l’istituto delle spese aggravate, ha proseguito il Giudice, è finalizzato “a disincentivare le cause defatigatorie e strumentali e deve essere parametrato alla capacità ed alla forza giuridica della parte ed alla posizione di vantaggio che parte colposamente resistente vanta nel confronti dell’avente ragione”