Sempre più, nelle aule giudiziarie italiane, i Giudici si sono interessati alle problematiche derivanti dalla fine delle relazioni more uxorio aventi spesso carattere patrimoniale ma non solo.
In particolare, sono molte le sentenze in cui la Cassazione si è occupata di legittimare alcuni effetti derivanti dalle unioni non fondate sul matrimonio, con importanti riflessi non solo a livello giurisprudenziale ma anche e soprattutto legislativo.
Recentemente, per esempio, è stato sottoposto all’esame e all’attenzione degli Ermellini, il caso in cui un uomo, dopo aver venduto alla propria compagna durante la loro convivenza l’immobile di sua proprietà, una volta terminata la relazione affettiva, era stato costretto a rilasciare l’abitazione per volere dell’ex compagna la quale, sostenendo di essere vittima di una violazione di domicilio e tentativo di furto, aveva chiamato le Forze dell’Ordine che, verificato il regolare possesso dell’immobile da parte della donna, si erano fatti consegnare dal pover’ uomo le chiavi di casa.
L’uomo, allora, aveva presentato azione di reintegra nel possesso, successivamente accolta, sostenendo che, nonostante il passaggio di proprietà, era in corso una situazione di compossesso dell’immobile e non di semplice detenzione, stante la continuazione della convivenza anche dopo l’atto di compravendita.
Contro tale decisione allora, l’ex compagna presentava ricorso in Corte d’Appello ove, tuttavia, veniva confermato il provvedimento di primo grado.
Con ricorso in Cassazione, la donna deduceva che la relazione si era già conclusa e che comunque la situazione di compossesso non poteva essere dedotta dalla convivenza more uxorio tra le Parti poiché la medesima non produce effetti sul possesso, e la relazione sulla cosa sarebbe assimilabile a quella di un “ospite”.
La Cassazione, se in passato aveva riconosciuto che la convivenza more uxorio di per sé non implica in capo al non proprietario un diritto possessorio autonomo (Cfr. Cass. 847/2001), ha negato, tuttavia, che la posizione del convivente possa essere equiparata a quella di un “ospite”, bensì a quella di detentore autonomo.
Con sentenza n. 7214 del 21.03.2013, pertanto, gli Ermellini hanno riconosciuto che la convivenza di fatto determina sulla casa in cui si svolge la vita comune un potere di fatto fondato su un interesse proprio, legittimando così ogni azione a tutela del possesso contro eventuali estromissioni violente o improvvise.
Nonostante, quindi, le unioni di fatto non siano e non possano essere equiparate a quelle fondate sul matrimonio, la relazione caratterizzata da stabilità e contribuzione reciproca comporta che non si possa parlare di “ospitalità” per il convivente non proprietario e che, di conseguenza, lo stesso non possa essere estromesso improvvisamente dall’immobile, avendo il diritto di ricevere dall’ex partner un congruo preavviso al fine di poter cercare una sistemazione alternativa.