Dopo numerose lotte sindacali, il mondo operaio, e più in generale il mondo del lavoro, ha ottenuto l’approvazione della Legge n. 300 del 20.05.1970, più nota come Statuto dei Lavoratori che disciplina il rapporto fra datore di lavoro, lavoratore e organizzazioni sindacali, oltre naturalmente a garantire sicurezza e giuste condizioni di lavoro e che resta, ancora oggi, una delle leggi in assoluto meno soggette a modifiche, risultando il vero centro e baluardo del diritto del lavoro.
Per quanto riguarda il rapporto di lavoro tra un dipendente e il suo datore, esso può estinguersi sia mediante dimissioni rassegnate dal lavoratore dipendente sia mediante licenziamento del datore di lavoro per giusta causa, senza preavviso (laddove l’inadempimento del lavoratore sia talmente grave che travolge profondamente il rapporto di fiducia che intercorre con il datore, per esempio sottrazione di beni aziendali nell’esercizio delle proprie mansioni (specie se fiduciarie oppure condotta extralavorativa penalmente rilevante ed idonea a far venir meno il vincolo fiduciario) oppure per giustificato motivo soggettivo per il quale è previsto il preavviso con termine (l’abbandono ingiustificato del posto di lavoro, minacce, percosse, reiterate violazioni del codice disciplinare di gravità tale da condurre al licenziamento, malattia (superamento del periodo di comporto).
Diversamente, il giustificato motivo oggettivo prevede che il licenziamento possa risultare purtroppo necessario alla luce di una riorganizzazione del lavoro, oppure dettato da ragioni relative all’attività produttiva (innovazioni tecnologiche, modifica dei cicli produttivi, ecc.), ovvero da una crisi aziendale. Nelle ipotesi, cioè, in cui l’azienda, per vari motivi, non ricava più utilità dal lavoro svolto da quel dipendente, o, in generale, da una categoria di dipendenti.
Recentemente, la Suprema Corte – Sezione Lavoro con sentenza n. 24259 del 28.10.2013, è intervenuta sul licenziamento di un lavoratore dipendente che aveva impugnato il proprio licenziamento avvenuto per giustificato motivo oggettivo dopo che la ditta – nella fattispecie una Banca – aveva deciso una riorganizzazione aziendale che prevedeva la esternalizzazione di una parte delle attività, offrendo tuttavia la proposta di prolungare il distacco presso la società alla quale erano stati affidati i principali servizi inerenti al sistema informatico o, in alternativa, di essere impiegato presso una filiale in mansioni corrispondenti alla sua qualifica.
A parere degli Ermellini, il rifiuto del lavoratore di essere distaccato presso la società esterna o di svolgere una diversa mansione corrispondente alla propria qualifica, legittimano comunque il suo licenziamento purché non ci siano nella stessa azienda posizione lavorative adatte a lui.
In particolare, gli Ermellini hanno confermato la sentenza della Corte d’Appello che aveva dichiarato, contrariamente alla sentenza di primo grado, legittimo il licenziamento del lavoratore, avendo riscontrato l’esistenza della riorganizzazione aziendale, la conseguente sopravvenuta mancanza di una posizione adatta al livello professionale del dipendente, nonché il tentativo di repechage effettuato dalla Banca tramite l’offerta – rifiutata dal lavoratore – di distacco o di essere impiegato in mansioni corrispondenti alla sua qualifica presso una filiale.