È indubbio che l’aspetto più controverso e complesso da valutare in sede di separazione e, successivamente di divorzio, sia la condizione economica del coniuge (il più delle volte il marito) obbligato a corrispondere in favore del coniuge economicamente più debole (quasi sempre la moglie) l’assegno di mantenimento.
Ai fini della corresponsione di tale assegno è necessario che il coniuge beneficiario non abbia redditi propri che consentano di condurre un tenore di vita analogo a quello goduto in costanza di matrimonio.
Questa tutela nei confronti del coniuge più debole non deve tuttavia diventare un espediente per avanzare richieste improbabili o, peggio, strumento di “vendetta” nei confronti dell’ex coniuge atti solo a “distruggerlo”.
Proprio per questo motivo, in sede di separazione o divorzio, il Giudice, prima di riconoscere l’assegno di mantenimento in capo al coniuge “debole” deve valutare attentamente le capacità di reddito e le potenzialità lavorative del coniuge obbligato.
Recentemente la Suprema Corte con sentenza n. 129/2013 ha negato il riconoscimento in capo all’ex moglie dell’assegno divorzile allorquando la stessa era riuscita ad acquistare un’automobile di lusso tramite un leasing, conviveva già con un altro uomo e aveva rinunciato al proprio impiego di insegnante.
Per gli Ermellini risultava pertanto indubbio che, dopo la fine del matrimonio, la donna conservasse un buon tenore di vita tanto da potersi permettere un’automobile nuova e altri costosi comfort.