Prostituzione e tasse : L’attività più antica del mondo desta diverse domande non solo sotto il profilo morale ed etico, ma anche legale.
Occorre precisare che ogni persona è libera di gestire il proprio corpo come meglio crede e in totale libertà, per questo motivo la prostituzione non è di per sé attività illecita o illegale, per quanto possa apparire moralmente deplorevole.
Pertanto, non è vietato, per una prostituta, ricevere i propri clienti nella propria abitazione, in quanto il domicilio ove costei vive non viene considerato come “casa di prostituzione”.
E ancora, non è punibile penalmente la persona che eserciti la prostituzione per strada, a meno che: lo faccia con abiti molto succinti o con pose oscene: in tal caso, commette un oltraggio al pubblico pudore; inviti i passanti, con parole o gesti, al libertinaggio (in tal caso viene applicata una sanzione amministrativa di 92€ circa); consumi i rapporti sessuali in macchina e in luoghi comunque accessibili al pubblico.
Resta, invece, penalmente rilevante agevolare o favorire la prostituzione o indurre alla prostituzione altre persone. Anche il solo accompagnare una prostituta sul luogo prescelto per la sua attività può costituire favoreggiamento alla prostituzione.
Ma qual è la sorte dei redditi percepiti tramite la prostituzione?
L’attività svolta dalla prostitute genera un reddito imponibile ai fini IRPEF e, se praticata in maniera abituale, è soggetta anche alla tassazione IVA.
È quanto ha dichiarato la Suprema Corte – Sezione Tributaria, con la sentenza n. 15596 del 27.07.2016.
La massima del provvedimento scaturisce da un accertamento fiscale effettuato dalla Guardia di Finanza nei confronti di una donna che, pur non avendo mai denunciato i propri redditi, risultava essere intestataria di numerosi beni di lusso e titolare di diversi conti correnti con cospicue somme di denaro.
La Guardia di Finanza recupera a tassazione i redditi imponibili della donna ricavati dai conti correnti.
La donna si rivolge alla Commissione Tributaria Provinciale impugnando tale accertamento precisando che tali redditi provengono dall’attività di prostituzione svolta dalla stessa e per questo non possono essere tassati.
La vicenda approda in Cassazione.
Qui gli Ermellini sottolineano che l’attività più antica del mondo non è illecita di per sé e “la natura reddituale attribuita dalla legge ai ricavi derivanti da attività illecite, con la conseguente tassabilità, comporta che venga riconosciuta natura reddituale anche ai ricavi derivanti dall’attività della prostituzione, da considerarsi come redditi diversi.
Gli Ermellini hanno richiamato una pronuncia della Corte Europea del 20.11.2001 che ha riconosciuto questa attività come prestazione retribuita rientrante nella nozione di attività economica e ha chiarito che è compito del Giudice valutare se si tratta di lavoro autonomo privo di costrizione e induzione.
Nel caso di specie la donna si prostituiva per scelta, in piena libertà e senza costrizione. Questa attività, svolta anche abitualmente, viene paragonata al lavoro autonomo e. pertanto, rileva ai fini non solo della tassazione Irpef, ma anche dell’IVA.