Se in un’era digitale come la nostra, inserire sui siti di annunci immobiliari le foto della propria casetta, già data in affitto ma che desideriamo mettere in vendita al miglior offerente, facilita l’aumento del numero dei contatti, è altrettanto vero che il tour virtuale e le immagini fotografiche non possono sostituire il “sopralluogo” diretto nell’immobile.
Ma come ci si deve comportare se l’appartamento che intendiamo destinare alla vendita è ancora abitato dall’inquilino?
Bene, innanzitutto, è cosa opportuna inserire già nel contratto di locazione la clausola che consente al proprietario o a un suo incaricato (parente o agente immobiliare che sia) l’accesso all’unità immobiliare per farlo visionare dai futuri acquirenti, previo naturalmente congruo preavviso all’inquilino.
Se poi questi si oppone e ostacola le visite dei futuri potenziali acquirenti, è costretto a risarcire i danni al proprietario per inadempimento dell’obbligo contrattuale e per avergli causato un fatto di per sé potenzialmente dannoso.
Così è stato stabilito dai Giudici della Corte di Cassazione con sentenza n. 19543/2015 che hanno rigettato il ricorso di un inquilino che contestava la condanna (poiché generica) inflittagli dal Giudice di secondo grado per aver impedito l’accesso della società proprietaria nella casa da lui abitata e per non aver adempiuto all’apposita clausola contrattuale circa la possibilità di far visionare l’immobile in caso di destinazione alla vendita.
I Giudice del Palazzaccio hanno, poi, statuito che è irrilevante la quantificazione dei danni patiti (peraltro non precisati dalla società proprietaria), atteso che “l’impedimento dell’accesso del proprietario in un immobile dallo stesso destinato alla vendita è in sé e per sé idoneo a pregiudicare le trattative e la possibilità stessa dell’alienazione”.
Proseguono, infine, gli Ermellini sostenendo che “la condanna generica al risarcimento danni presuppone soltanto l’accertamento di un fatto potenzialmente dannoso, in base ad un accertamento anche di probabilità o di verosimiglianza, mentre la prova dell’esistenza in concreto del danno, della sua reale entità e del rapporto di causalità è riservata alla fase successiva di determinazione e di liquidazione, sicché la pronuncia sulla responsabilità si configura come una mera declaratoria juiris che esula qualunque accertamento in ordine alla misura e alla concrea sussistenza del danno, con la conseguenza che il giudicato formatosi sulle responsabilità non incide sul giudizio di liquidazione”.