La casa famigliare rappresenta, indubbiamente, non solo un bene patrimoniale ed economico, una chiara fonte di reddito, ma anche un bene affettivo, un luogo quasi “sacro” ed inviolabile, l’ habitat dove si concentrano gli affetti più cari e veri e dove, soprattutto, i figli minorenni nascono, crescono e vengono educati per un grandissimo lasso della propria vita.
Nel momento esatto in cui una coppia si divide, è importante, se non fondamentale, garantire alla prole – per quanto possibile – la stessa stabilità, la stessa armonia ed unità che vi era quando i genitori andavano d’amore e d’accordo.
Per questi motivi e nel solo ed esclusivo interesse superiore dei figli minorenni, il Giudice, in sede di separazione e di divorzio, assegna la casa famigliare al genitore collocatario (in genere la madre), anche se questi non risulta essere il proprietario dell’immobile o il conduttore “ufficiale” di un contratto di locazione.
Questo principio è oramai consolidato e seguito da gran parte dei Giudici nelle Aule dei Tribunale italiani sicuramente quando i genitori sono stati uniti in matrimonio.
Ma cosa succede se i genitori non sono uniti in matrimonio e sono stati semplicemente una coppia di fatto? In quale casa vivranno i figli minorenni? Dovranno essere sradicati dall’appartamento in cui sono sempre vissuti perché, magari, non è di proprietà del genitore presso il quale sono stati collocati?
Ancora una volta, la Corte di Cassazione ha risolto il dubbio tutelando i diritti delle coppie di fatto e paragonandole alla stregua di quelle sposate.
In particolare, con sentenza n. 17971 del 11.09.2015, gli Ermellini hanno accolto il ricorso di una donna che viveva, con i figli avuti dall’ex compagno, nell’immobile di proprietà di quest’ultimo e che lo stesso aveva tempestivamente provveduto a vendere prima del provvedimento di assegnazione del Giudice, probabilmente credendo di poterla fare franca e “allontanare” una volta per sempre l’ex partner.
In particolare, i Giudici del Palazzaccio – ribaltando la sentenza di primo grado che dava ragione alla Società Immobiliare che chiedeva il rilascio immediato dell’immobile occupato, a suo dire, sine titulo dalla donna – hanno ribadito che il diritto dell’ex compagna/o che vive con i figli prevale anche sulla trascrizione dell’atto di compravendita della casa ad un terzo acquirente, antecedente all’assegnazione del medesimo immobile.
Hanno infatti evidenziato, ancora una volta, che il genitore con cui vivono i figli, resta comunque detentore qualificato dell’immobile ed esercita sul medesimo un vero e proprio diritto di godimento, del tutto simile a quella del comodatario (colui che gode di un bene immobile per un determinato tempo a titolo per lo più gratuito), anche qualora il proprietario esclusivo del bene sia effettivamente l’altro partner.
Per tali motivi, l’assegnazione dell’immobile disposta dal tribunale è opponibile (ovvero produce i suoi effetti) anche nei confronti del terzo acquirente il quale al momento della stipula del contratto di compravendita, era certamente a conoscenza dello stato in cui si trovava l’immobile, ovvero occupato dalla signora e dai suoi figli.