La Corte di Cassazione, nella sentenza n. 1025 depositata il 17 gennaio 2013, ha statuito che il risarcimento del danno morale può essere accordato ad un coniuge per la morte dell’altro anche se vi sia tra le parti uno stato di separazione personale, purché si accerti che l’altrui fatto illecito abbia provocato nel coniuge superstite quel dolore e quelle sofferenze morali che solitamente si accompagnano alla morte di una persona più o meno cara. La separazione da sola non è di ostacolo al riconoscimento del risarcimento del danno non patrimoniale.
Tuttavia, a parere degli Ermellini, perché il danno non patrimoniale venga riconosciuto “è necessario dimostrare che, nonostante la separazione, sussista ancora un vincolo affettivo particolarmente intenso, con la conseguenza che l’evento morte ha determinato un pregiudizio in capo al superstite”. Nella fattispecie, il ricorrente ha dimostrato la sussistenza di un vincolo affettivo particolarmente intenso con il coniuge deceduto, nonostante fosse separato dallo stesso. Il fatto che vi fosse un pregiudizio in capo al superstite è stato individuato dai giudici cassazionisti nella presenza di un figlio e nel breve lasso di tempo intercorso dalla separazione (1 mese).
Prendendo in esame l’intera vicenda relativa al danno subito, la Suprema Corte ha però rigettato il ricorso dell’ex marito della vittima, nella parte in cui chiedeva un risarcimento maggiore del danno liquidatogli dai giudici d’Appello. Questi, infatti, avevano stabilito una somma di risarcimento pari a 25mila euro per l’ex coniuge, invece degli 84mila euro liquidati in primo grado, tenendo conto del “dato obiettivo della separazione“, e del fatto “della già cessata convivenza” e della conseguente valutazione secondo cui “la perdita del coniuge risulta indubbiamente meno sconvolgente rispetto al conseguito assetto di vita”.
Tutto ciò a ulteriore conferma che soltanto con il divorzio in Italia vi è il completo scioglimento di ogni vincolo.