Con la sentenza n. 1025/2013 del 17.01.2013, la Terza Sezione Civile della Corte di Cassazione ha riconosciuto anche in capo al coniuge separato – seppure in forma ridotta – il diritto al risarcimento del danno non patrimoniale a seguito di un incidente mortale in cui perse la vita il coniuge non più convivente.
A parere degli Ermellini, infatti, il coniuge superstite che ha subìto la perdita dell’ex o del consorte non più convivente subisce “un pregiudizio morale – da accertare in ogni singola fattispecie – consistente in quel dolore e quelle sofferenze morali che solitamente, come naturale, sono le conseguenze di un lutto di una persona più o meno cara”.
La Suprema Corte, tuttavia, chiarisce che il lutto dell’ex coniuge, di per sé, non implica in via automatica il diritto al risarcimento, ma “è necessario dimostrare che, nonostante la separazione, sussista ancora un vincolo affettivo particolarmente intenso, con la conseguenza che l’evento morte abbia determinato un pregiudizio in capo al coniuge superstite”.
Sono vari i fattori che concorrono ad accertare la sussistenza di un vincolo affettivo ancora intenso, malgrado l’assenza di un progetto di vita in comune e l’oggettiva separazione dei coniugi quali la presenza di un figlio nato dalla relazione matrimoniale o il breve lasso di tempo intercorso dalla frattura della via coniugale all’evento infausto.
Naturalmente la liquidazione del danno non patrimoniale sarà minore in relazione al fatto della già cessata convivenza e della conseguente valutazione secondo la quale la perdita del coniuge “risulta indubbiamente meno sconvolgente rispetto al conseguito assetto di vita”.
E ciò non in virtù del fatto che in Italia solo con il divorzio vi è la definitiva cessazione di ogni effetto giuridico legato al matrimonio.