Separazione assegno di mantenimento. La Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 5279/2020, si è pronunciata in materia di assegno di mantenimento dovuto da un coniuge all’altro a seguito di separazione, il quale è deducibile anche per presunzioni semplici.
Separazione assegno di mantenimento. Nel caso specifico, nella vicenda processuale, infatti, riguarda la quantificazione dell’assegno di mantenimento dovuto alla prima moglie ed ai tre figli della coppia.
Il giudice di prime cure ha quantificato l’assegno di mantenimento in euro 300 per ciascun figlio ed in euro 200 da corrispondere alla moglie.
Tale decisione viene del tutto riformata nel giudizio d’Appello, nel quale il giudice ha ritenuto opportuno valorizzare altri elementi dai quali si evinceva che il padre percepisse un reddito maggiore rispetto a quanto effettivamente dichiarato. In particolare, ha quantificato in euro 600 l’assegno mensile per ciascun figlio ed in euro 800 per la moglie.
Nel caso di specie veniva contestato da quest’ultimo il fatto che il giudice di seconde cure avesse determinato il reddito in misura maggiore sulla base di una delibera di una società della quale il ricorrente era amministratore.
La delibera in questione prevedeva la riduzione degli emolumenti previsti per gli amministratori.
Secondo il ricorrente, la Corte d’Appello nell’assumere la decisione circa l’aumento dell’importo dell’assegno di mantenimento avrebbe utilizzato delle presunzioni semplici, disattendendo le prove documentali fornite dalla società.
Separazione assegno di mantenimento. Con riferimento alla prima vicenda processuale la questione si conclude con l’emissione dell’ordinanza n. 5279/2020 che dispone il rigetto del ricorso presentato dal marito, il quale invocava la nullità della sentenza per violazione dell’art. 2729 c.c. essendo la pronuncia fondata su presunzioni semplici non sussistendo degli indizi gravi, precisi e concordanti. Inoltre, per contraddittorietà della motivazione alla luce della presenza di alcuni elementi contrari riguardanti la capacità reddituale del ricorrente.
Tuttavia, per la Corte il ricorso è stato dichiarato inammissibile, in quanto i giudici di seconde cure avrebbero correttamente valutato le prove presentate nel corso del giudizio.
Inoltre, gli Ermellini hanno ritenuto che la decisione si sia basata su ulteriori elementi gravi, precisi e concordanti.
Alla luce di tali indizi, la Cassazione ha reputato che i documenti forniti dalla società nel corso del procedimento non rappresentassero fedelmente la capacità contributiva del marito e che lo stesso percepisse un reddito maggiore rispetto a quanto realmente dichiarato, alla luce della delibera societaria.
Pertanto, il ragionamento effettuato dal giudice di secondo grado risulta correttamente sviluppato, avendo lo stesso estromesso tutti gli elementi privi di rilevanza mantenendo quelli gravi e precisi e, contestualmente, valorizzando quelli concordanti, ritenuti idonei per fondare una prova basata su presunzioni semplici.
La diversa valutazione degli stessi non comporta, altresì, il vizio di contraddittorietà della motivazione visto il corretto iter argomentativo seguito nella sentenza emessa dalla Corte d’Appello.