Capita molto spesso, purtroppo, che la casa coniugale, da simbolo del nido d’amore e della formazione e crescita di, eventuali, figli, si trasformi in un vero e proprio luogo di odio e rancori, risentimenti e ripicche.
Quali sono esattamente le sorti della casa coniugale dopo la fine del matrimonio?
Se ci sono figli minorenni (o anche maggiorenni non indipendenti economicamente) il Giudice della separazione, oltre a dichiarare la separazione e adottare i provvedimenti circa l’affido dei figli (solitamente condiviso con collocamento presso un genitore), si pronuncia anche sulle sorti della casa coniugale.
In particolare, in presenza di figli, la casa spetta al coniuge affidatario (ovvero a chi sono affidati i figli, solitamente la donna) – proprietario o meno dell’immobile poco importa – garantendo così il superiore ed esclusivo interesse dei minori che hanno il diritto di continuare a vivere nel luogo, nell’habitat domestico dove hanno vissuto fino all’inizio della crisi coniugale, evitando il più possibili traumi ulteriori di cambiamenti e spostamenti.
In determinati casi è stato stabilito che, qualora l’immobile sia molto grande e materialmente e strutturalmente disposto da poter essere suddiviso (esempio si possono facilmente creare due ingressi autonomi ed indipendenti, ognuno ha un suo spazio) o quando la conflittualità tra i coniugi non è insanabile, può essere diviso in due unità abitative separate.
Altro problema si presenta se mancano figli che possano giustificare, dopo la fine di un matrimonio, l’assegnazione della casa al coniuge non proprietario dell’immobile.
In questi casi, prima dell’udienza presidenziale (ovvero la prima udienza di comparizione dei coniugi nella quale il Presidente stabilisce i provvedimenti temporanei ed urgenti nell’interesse della prole e dei soli coniugi, in caso di mancanza dei figli), nessun coniuge può allontanare l’altro dalla casa coniugale.
Invece, in assenza di figli minorenni, non potendo il Giudice della separazione assegnare il bene immobile ad uno o all’altro coniuge, come si può allontanare il coniuge che non vanta alcun diritto reale o personale di godimento sulla casa?
La sentenza della Corte di Cassazione n. 7214/2013, a chiare lettere, ha statuito che il coniuge che non vanta alcun diritto non può essere cacciato via di casa, né si può cambiare la serratura.
I soggetti che perdono il diritto al godimento del bene devono essere tutelati e non possono essere buttati in mezzo alla strada da un giorno all’altro, avendo, in ogni caso, anche loro vissuto in quella stessa casa e avendo una certa tutela, seppure temporanea.
Gli Ermellini hanno così riconosciuto il diritto al convivente di avere il tempo materiale (necessario e ragionevole) per potersi trovare un’altra sistemazione.
E allora, senza incorrere in un’azione possessoria di reintegra, l’azione più adatta sembra quella di rilascio o di restituzione dell’immobile da chi si trova nella materiale disponibilità del bene sine titulo.
Una soluzione potrebbe essere quella di presentare un ricorso ex art. 447 bis c.p.c. (applicabile anche alle locazioni e ai comodati di immobili): è scontato che in tale sede il Giudice potrebbe assegnare il cosiddetto termine di grazia (di solito 90 giorni) per permettere al coniuge convivente il tempo di trovare un altro alloggio.