In tema di risarcimento dei danni a seguito di un sinistro stradale, l’art. 2054 c. 1 c.c. prevede un principio di presunzione di responsabilità in capo al conducente del veicolo il quale sarà tenuto a risarcire il danno prodotto alle persone o alle cose dalla circolazione della vettura, salvo la prova di avere fatto tutto il possibile per evitare il sinistro.
Per superare tale presunzione e far ricadere la colpa sul pedone in via esclusiva o, per lo meno concorrente, il conducente ha l’onere di provare che il pedone ha tenuto una condotta anomala o ha violato le regole del Codice della strada.
Tra le condotte più comuni e le “cattive abitudini” che possono far ragionevolmente sussistere un concorso di colpa in capo al pedone, nella misura che il Giudice riterrà equa, troviamo certamente quella di passare con il semaforo rosso, di non attraversare sulle strisce, di aver posto in essere condotte anomale o repentine che il conducente non è riuscito a fronteggiare.
A ciò si aggiungono le situazioni e le circostanze concrete, per esempio il tratto di strada rettilineo o meno, le condizioni atmosferiche, la visibilità della strada, le condizioni di traffico.
Alla luce di ciò, recentemente il Tribunale di Milano con sentenza n. 6231/2015 ha negato il concorso di colpa in capo al pedone investito da un motociclo mentre attraversava sul lato sbagliato della strada.
Il Giudice meneghino, infatti, ha riconosciuto in capo al motociclista una responsabilità esclusiva, a nulla rilevando – ai fini del concorso di colpa – che il pedone si trovava ad attraversare sul lato destro della strada, anziché su quello sinistro dove c’era il marciapiede, considerato che l’incidente è avvenuto in condizioni di buona visibilità, alla luce del giorno, in un tratto stradale rettilineo, senza curve e molto largo, senza ravvisare condizioni di traffico particolari una condotta anomala da parte del pedone stesso.
Pertanto, ai fini della valutazione e quantificazione di un concorso di colpa tra la colpa del conducente e quella del pedone, spetta al primo dimostrare, come si legge nella sentenza “che la condotta del pedone è stata colposa ed ha avuto efficacia causale assorbente o concorrente nella produzione del sinistro”.
Nel caso di specie, invece, il pedone non aveva posto in essere alcuna condotta anomala o repentina, risultava perfettamente visibile e facilmente superabile da parte del motociclista.